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LA CITÉ DES ENFANTS PERDUS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 maggio 1995
 
di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro (Francia, 1995)
 
Su una sorta (in questo film ogni elemento può essere considerato "una sorta") di piattaforma marina vive un'insolita famiglia: composta da quello che comanda, e che è solo un cervello immerso in un acquario con bollicine (e che guarda attraverso un obiettivo fotografico in disuso, ascolta grazie a due trombe da fonografo anni Trenta), un altro pure discretamente rabberciato da marchingegni vari, una donna alta un metro e poco più, e quattro fratelli identici, interpretati contemporaneamente (grazie computer) dallo strambo Dominique Pinon. Se questi sono dei cloni (ed una delle molle della storia che segue è l'ambizione, da parte dei nostri poveri cloni, di costituire l'originale, il solo autentico) gli altri sono solo dei degenerati risultati di non si sa quale esperienza para scientifica. Disperati come si ritrovano, non possono far altro che contare sulle fantasia altrui. Eccoli quindi occupati a rubare bambini: tanti, distorti babbi natale, tutti con l'idea fissa di catturare a quegli innocenti il loro patrimonio in sogni.

Soggetto folle, certo, ma non poi così tanto se ci ricordiamo dei due autori: Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, giovani, dotati e discretamente deliranti, reduci dalla pubblicità, dall'animazione e dal fumetto, autori del notevole DELICATESSEN. Grazie a quel successo, i due recidivano, ma con più soldi: e gli effetti si espandano all'ennesima potenza. Con conseguenze, al solito devastanti.

Tutto ricreato in studio, immerso nella solita luce bruno-verdastra, sterminato, allucinante e per certi versi formidabile inventario di oggettistica dall'ambigua datazione e dalla altrettanto balorda destinazione (comunque votata ad ipotetiche alchimie tecnico-scientificistiche, in estetica orwell-bauhaus-mercato delle pulci) quello del film diventa subito il vero, ahimè il solo motivo d'interesse di LA CITE DES ENFANTS PERDUS.

Piacerà gli appassionati di fumetti ipergrafici; ma a condizione di occuparsi esclusivamente dell'inventario. Certo c'è la musica di Badalementi, quello magico di TWIN PEAKS, ad addolcirne il virtuosismo un po' perverso. Di quando in quando entrano in scena degli animali, ad assecondare la grottesca crudeltà del tono, ma anche ad introdurre comportamenti meno letterari: sono allora topolini, cornacchie, cani e gatti, e pure zanzare alle quali applicano fialette micidiali, tutti impiegati in varie gag di origine grafica, che introducono il sempre sia lodato humour, alleggerendo (troppo poco) le pretese.

Quello del film di Jeunet & Caro è insomma uno straordinario impegno a livello di scenografia e trova-oggettistica (tanto che si pensa agli esempi massimi del genere, come BRAZIL di Terry Gilliam): spiace anche dire male di una tale, appassionata overdose professionale: ma il guaio che è il troppo è troppo.

C'è da sempre in cinema una tensione, una dialettica di rinvii e significati, fra ciò che si va dicendo e rappresentando ed il suo sfondo. Certo è tragico - ed usuale che dietro ai soliti schemini si scopra il vuoto; ma è altrettanto controproducente quando è l'ambiente e la sua decorazione a farla da padrona.

Si sciolgono allora come neve al sole vicende, personaggi e significati: l'individuo rappresentato diventa allora uno dei tanti, superflui oggetti dell'inventario. E la sfilata si traduce nella fatica di assistere ad una sontuosa, ma pure tediosa chincaglieria.


   Il film in Internet (Google)

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